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Il Recovery ci salverà

L’ultima spiaggia

Andiamo subito al sodo: il Recovery plan è l’ultima spiaggia per l’Italia. Chi finge di non capirlo per conservare potere o per fatuità, dovrebbe subire la pena del gelo che Dante riserva ai traditori della patria.

Per ora il “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, scritto dal Governo per dare corpo al programma di investimenti di 200 miliardi, è solo un fiume di parole, di grafici dai colori fluorescenti e statistiche dalle tinte sgargianti, ma non contiene nessun progetto che indichi come e dove spendere quei soldi.

Si limita a tratteggiare linee d’azione tanto vaghe quanto scontate, senza fornire spiegazioni stringenti sulla loro concreta destinazione, su modi e tempi di realizzazione degli investimenti conseguenti, sul ruolo di ministeri e ministri.

Next generation EU e piano Marshall

Eppure, la somma a disposizione è astronomica, pari a più di un quarto di tutto il budget dell’intervento “NextGenerationEU”, assai più consistente di quella che gli Stati Uniti destinarono al nostro paese nel “Piano Marshall” alla fine della seconda guerra, che a valori correnti corrisponderebbe all’incirca a 50 miliardi di euro.

E’ una constatazione dolorosa, questa, ma la pochezza che contraddistingue il piano nazionale non può essere sottaciuta. Qui è in gioco la sopravvivenza del paese e il politically correct, davanti a questa posta, può attendere. 

Il ritardo della politica nostrana

Sembrano essersene resi conto anche alcuni protagonisti del teatro politico, da Paolo Gentiloni a Matteo Renzi, oltre ad esponenti dei partiti di opposizione, ad iniziare da Silvio Berlusconi. 

Dopo sollecitazioni provenienti da molte parti sociali, da uomini e donne di caratura istituzionale e da un schiera innumerevole di studiosi e opinionisti, qualcosa sembra si stia finalmente muovendo anche nel mondo politico. Un po’ in ritardo, in verità, ma ancora in tempo per non perdere la scialuppa del Recovery e non fare una grama figura davanti all’Europa.

L’Unione Europea e la sua nuova strategia

L’Unione non è un club di filantropi. Se ha scelto di privilegiare l’Italia nella ripartizione del budget – e se ha perfino ceduto all’idea di indebitarsi – è perché cosciente della situazione drammatica delle finanze pubbliche e delle difficoltà economiche nelle quali si trova il bel paese; perché cosciente del destino che  ad esso potrebbero riservargli i mercati una volta finito l’acquisto straordinario dei titoli da parte della Banca centrale europea. E cosciente pure che alba o tramonto dell’Italia può diventare anche alba o tramonto di altre economie della stessa Unione. Non è un caso, infatti, che la presidente della BCE, Cristine Lagarde, abbia annunciato l’ulteriore allungamento degli acquisti a marzo 2022.

L’Unione e per essa le tre donne pilastro della sua politica attuale, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, la presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, e la già richiamata presidente della BCE, la francese Cristine Lagarde, intendono far seguire all’Unione stessa non più la “politica della sottrazione”, come nel passato, ma la “politica dell’addizione”. Il forte sostegno del Recovery va proprio in questa direzione: aiutare i paesi più in difficoltà ad incrementare gli investimenti in spesa capitale, la produttività e dunque l’occupazione, così da evitare gli scenari più bui, che giocoforza aprirebbero la porta alla “politica della sottrazione”.

Lo scenario italiano: pochi numeri ma essenziali

Lo scenario italiano è questo, inutile girarci intorno: il debito, nel 2021, arriverà probabilmente a 2800 miliardi, oltre il 180 per cento del PIL, la spesa corrente crescerà ancora e vertiginosamente, il PIL e l’occupazione manterranno un saldo ampiamente negativo, come le esportazioni. La sola, seria scialuppa di salvataggio, allora, è questa: incrementare investimenti in opere e produttività. 

Cosa fare per non finire come il Titanic

Il ruolo del Governo nazionale, a questo punto, è essenziale. E’ però probabile che non abbia la necessaria compattezza per progettare e gestire il mastodontico piano messo in piedi dall’Unione. Eppure, si ripete, è l’ultima spiaggia: o nuotare per raggiungerla, o rischiare di affogare. 

Qui si innesta l’anomalia quasi kafkiana della congiuntura politica nostrana. La compagine governativa, da un lato e come detto, difetta di unità, visione e forse sufficiente competenza; da un altro, però, non intende ammainare la bandiera, consapevole che interi gruppi o singoli protagonisti perderebbero la centralità fin qui occupata.
La pandemia e il ravvicinato semestre bianco del presidente della Repubblica, col divieto costituzionale di scioglimento anticipato delle Camere, fanno il resto. 

Da questa situazione davvero paradossale ne potremmo uscire solo con l’intervento di due protagonisti: del Presidente Sergio Mattarella, che comunque ha davanti a sé 8 mesi prima di vedere “paralizzati” i suoi poteri; oppure con l’intervento della stessa Unione che potrebbe “imporre” un cambio di nocchiere e cavalieri, giacché – non dimentichiamolo – da un eventuale naufragio italiano potrebbe uscire anch’essa con gli abiti infradiciati. E nessuno, proprio nessuno, intende rischiare il naufragio nel mare nostrum.  

Alessandro Giovannini

Professore Ordinario di Diritto Tributario, Università di Siena
Avvocato, Commercialista e Revisore dei Conti


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