Sul diritto tributario come scienza giuridica: un appunto sulla scrivania
Parlare della materia tributaria è complesso, definirla ancora di più. E ancora di più è stabilirne la sua essenza.
La questione centrale, la più profonda, il cuore di questo tema, attiene ai princìpi e al loro rispetto. Per chi, come me, sui princìpi ha fondato le sue ricerche da ormai trent’anni, vederli calpestati suscita un senso di amarezza profonda, una sorta di vero e proprio malessere fisico. Accentuato, il malessere, dalla sostanziale impotenza alla quale temo sia condannata la scienza giuridica in questo lungo e buio periodo storico. Non mancano, certo, stelle fulgenti nel firmamento del diritto, compreso quello applicato: sentenze della Corte costituzionale, della Corte Edu, pronunciamenti illuminati della Corte di Cassazione e della giurisprudenza di merito. Perle rare, però, e soprattutto destinate anch’esse, proprio come una parte consistente della scienza giuridica, a scontrarsi con la sordità, l’indifferenza, la supponenza di una classe dirigente – politica e amministrativa – deputata alla formazione delle leggi.
Questo deterioramento, lento ma incessante, iniziato almeno trent’anni fa, è un fenomeno anzitutto culturale che, come scrisse Lina Bigliazzi Geri, è tanto più preoccupante in quanto muove dal basso e arriva in alto, dai banchi di scuola fino agli scranni parlamentari, governativi, ministeriali. E per la illuminata studiosa pisana, questo fatto era – ed è – tanto più grave quando interessa direttamente i vertici istituzionali, quelli, appunto, che devono guidare il paese tramite le leggi e la loro interpretazione.
Insisto su questo punto a costo di essere barboso e sembrare démodé: il diritto è vendicativo, se forzato nei princìpi prima o poi ricambia l’offesa, non consentendo al sistema di rimanere in squadra neppure con opere di ingegneria giuridica.
Come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni, il diritto non è o non dovrebbe essere un ammasso disordinato di regole, senza né capo né coda, ma è o dovrebbe essere un terreno ordinato, i cui solchi possono e devono essere orientati all’unità sistematica, in armonia coi princìpi.
Questo può e deve avvenire anche in diritto tributario. Ritenere o trattare questa branca del diritto come una Cenerentola anche in punto applicativo è un grave errore, considerarla materia tecnica e per i tecnici, dipendente da altri rami del sapere, dal diritto civile a quello amministrativi, da quello processuale a quello penale, significa far morire la materia stessa. Farla morire non tanto o soltanto nell’insegnamento, ma anche e soprattutto come scienza giuridica, come uno dei ramo del sapere, dotato della stessa dignità scientifica e di studio di altre branche delle scienze giuridiche.
Per fare questo è affinché questo sia riconosciuto all’esterno è essenziale recuperare i princìpi, sistematizzare la materia, studiarla nelle sue interrelazioni con altri saperi e, per l’appunto, coi princìpi.
Come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni, il diritto non è o non dovrebbe essere un ammasso disordinato di regole, senza né capo né coda, ma è o dovrebbe essere un terreno ordinato, i cui solchi possono e devono essere orientati all’unità sistematica, in armonia coi princìpi.
Questo può e deve avvenire anche in diritto tributario. Ritenere o trattare questa branca del diritto come una Cenerentola, un diritto di “serie B”, è un grave errore. E l’attrice che per prima deve farsi carico di evitare questo deterioramento e di cadere in questo errore è la scienza giuridica, quella che, spesso con senso dispregiativo, viene chiamata Accademia, il mondo dei “professoroni”.
Per fare questo è essenziale recuperare i princìpi, sistematizzare la materia, studiarla nelle sue interrelazioni con altri saperi e, per l’appunto, coi princìpi. Dare ad essa la stessa dignità di studio di altre nobili branche. Senza questo sforzo la materia morirà. E non solo come materia di insegnamento, ma come scienza giuridica, quella che Norberto Bobbio definí la scienza del sapere oltre la legge.
Alessandro Giovannini
Professore Ordinario di Diritto Tributario, Università di Siena
Avvocato, Commercialista e Revisore dei Conti